sabato 15 novembre 2014

Se la democrazia corrotta è la peggiore delle dittature: la memoria oltre i populismi.

Nella sezione del sito della Rete/Movimento Maipiù, dedicata agli approfondimenti (http://maipiu.eu/non-dimenticare-il-vajont/), sono pubblicati due articoli sulla tragedia del Vajont del 1963.
Gli articoli sono datati a una decina di anni fa ma, per noi che ci stiamo avviando alla sfida grande di dare vita al Movimento ed alla Rete delle Comunità dei Versanti, dei Fiumi e del Popolo degli alluvionati, sono due testimonianze preziose.
Di fronte ad una realtà immobile, alla sordità delle classi dirigenti che sembrano vedere i problemi solo per l’effimero momento in cui i riflettori dei media si accendono sul fango delle alluvioni per poi dimenticarsene quando il fango si secca lasciando sole le comunità con i loro problemi ed alle rimozioni di una società ubriacata della falsa coscienza di una modernità che ci ha lasciato solo crisi, la nostra ambizione non può che essere alta come conviene a chi sa di fare i conti con una lunga storia.

Una storia che la sciagura del Vajont ci consegna scolpita col sangue di 2000 morti.
È l’ambizione di non rassegnarsi al destino che fin qui ha condannato le comunità che vivono lungo i versanti e i fiumi a sopportare morti, distruzioni e devastazioni consegnate all’altare della mala politica e, spesso, del malaffare e della corruzione.
Nella petizione su change.org che chiede di ripristinare il rispetto per la memoria delle vittime del Vajont,  Lucia Vastano (la giornalista che la ha proposta) si fa una domanda e si da una risposta: “Cosa ha insegnato il Vajont? Che una democrazia corrotta è la peggiore delle dittature”.
Ancora oggi, a 60 anni di distanza siamo costretti a registrare amaramente le risate dei Prefetti e degli Imprenditori a L’Aquila ma, con altrettanto sconcerto, ad assistere alla discrezionalità strumentale delle classi dirigenti locali che (in assenza di norme nazionali trasparenti che, guarda caso, non cambiano) riescono a “contrattare” con il potere centrale misure ad hoc per le singole alluvioni nelle peggiore delle pratiche da sottopotere clientelare dividendo i cittadini in categorie di serie A, B o Z a seconda del peso elettorale del Cacicco di turno.
Ma per ogni Corruttore esiste almeno un Corrotto; dopo oltre sessanta anni dalla tragedia del Vajont non possiamo che registrare come, dietro ogni cronaca ed immagine di alluvione che sempre di più invadono il nostro presente, quanta larga sia stata l’incapacità sociale di pensare ad un modello economico ed ambientale rispettoso dei territori e dei contesti ambientali, quanto grande sia stata l’ubriacatura per una modernità che avrebbe dovuto portare benessere, quanto diffusa sia stata la falsa coscienza di quanti si siano acconciati alla speculazione immediata di corto respiro ed al saldo immediato realizzato a scapito del rispetto per i suoli, l’ambiente e la democrazia.
Così, se l’articolo di Lucia Vastano affonda il dito nelle piaghe aperte della speculazione politica ed economica e nell’intreccio perverso che sottrae democrazia alle comunità ferite ed al Paese, l’editoriale del Comitato Superstiti del Vajont, nel porsi le domande che stanno di fronte alla coscienza civile, sembra un grido che può essere levato da una qualsiasi delle tante realtà colpite da disastri ambientali del nostro tempo e che sessanta anni dopo continuano a mietere vittime: “per noi Vajont vuol dire dolore, indifferenza, mancanza di aiuto. Dolore per i nostri morti non ritrovati, dolore per l’infanzia che chi e’ stata rubata, dolore per le nostre radici strappate, dolore per una vita sradicata che non avremo più, dolore per la mancanza di memoria per una vita che e’ stata stravolta“.
Ed ancora: “Finora abbiamo solo sussurrato il nostro dolore, ora e’ arrivato il momento di urlare, di urlare a pieni polmoni che noi siamo ancora qui, siamo vivi, vogliamo considerazione, vogliamo giustizia.
Un urlo vero, quello dell’indignazione e della richiesta forte di giustizia scandito con la forza di parole vere e condivise dalle comunità colpite; parole distanti da quelle urlate dal populismo dei nostri tempi che cavalca, alimenta e si alimenta della rabbia senza porsi il tema di incidere e di cambiare, senza assumere la responsabilità di criticare il modello e le ragioni che hanno portato e portano nel fango metaforico e reale e di indicare quale è la via da seguire.
Per noi, che oggi abbiamo l’ambizione di lanciare forte questo urlo, di farlo con il più ampio movimento sociale che sapremo suscitare e di impegnare noi stessi a riscrivere la storia delle comunità colpite dal dissesto idrogeologico perché il loro futuro non sia sepolto da frane e alluvioni e non sia mercimonio degli avventurieri della irresponsabilità politica, il filo della memoria è una radice importante per rafforzarci e motivarci e indicarci la via.

Perché la storia non inizia con noi, con buona pace dell’insopportabile dell’ideologia del nuovismo che cerca di ubriacare le menti per non cambiare nulla; noi, comunque, coltiviamo la ambiziosa presunzione di volerne scrivere una pagina importante: quella che costringe le classi dirigenti del Paese e la Società  a mettere al centro dell’agenda politica l’inevitabilità di affrontare in Italia (ovvero in un Paese montuoso e fortemente esposto ai problemi del dissesto idrogeologico) i problemi della prevenzione, della messa in sicurezza, di un corretto uso delle aree dei Versanti e dei Fiumi.
Maipiù, la rete/movimento delle comunità dei versanti, dei fiumi e del popolo degli alluvionati nasce per riprendersi un pezzo di democrazia popolare oltre ogni rassegnazione.
Al lavoro e ..... vediamo di sfangarla!

Gianni Fabbris

Nessun commento:

Posta un commento